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"Uguaglianza e diversità"

A cura di Raccuia Maria Giovanna e Scilipoti Venera

“Il gusto è soggettivo:io preferisco le mele, tu le arance; non c'è modo per decidere chi ha ragione.”   (Ervin Lazslo)

Così il filosofo ungherese E.Lazslo esprime il presupposto fondamentale dell'essere uomo: la soggettività.

La società odierna , nonostante le conquiste dell'uomo nel riconoscimento dei propri diritti in ambito civile, politico e sociale; rischia di cadere ancora nella “stigmatizzazione del diverso”.

La nozione di normalità che si è consolidata lega strettamente due idee di normale: il normale in quanto “usuale, statisticamente più frequente” e il normale in quanto “buono,giusto”; in tal modo l'insolito è diventato il cattivo,l'ignobile, lo strano.

Tuttavia noi come possiamo ritenere che una cosa sia giusta, piuttosto che sbagliata?

Tra i motivi più frequenti di emarginazione sociale ricorrono i casi di povertà e disabilità.

Nel primo caso, infatti la miseria non si riduce solo ad uno stato di necessità materiale e di sofferenza fisica, ma è anche una condizione sociale e psicologica, poiché il povero, non potendo condurre una “vita normale” pari a quella dei propri coetanei, si sente inadeguato e ciò provoca dolore, angoscia e mortificazione.

La disabilità invece, ha da sempre rappresentato un limite per gli individui che ne sono affetti.

Questo è quanto accaduto al giovane Jawad, un bambino afgano, che ammalatosi di poliomelite, dopo essere uscito dal coma rimase paralizzato.

Egli, fin da ragazzo attraverso le richieste dei genitori, aspira a un'uguaglianza delle opportunità, possibile solo a condizione di beneficiare delle terapie mediche e dell'istruzione. Solo grazie alla determinazione della madre, gli viene riconosciuto il diritto di essere curato ottenendo il trattamento sanitario che rappresenta il punto di svolta della sua vita.

Il superamento della disabilità fisica grave rappresenta per Jawad l'occasione di accedere a quelle opportunità che gli garantiscono la piena realizzazione personale.

 

 Nella storia,  il primo esempio di riconoscimento dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge fu ottenuto dalla borghesia contro l'assolutismo monarchico e rivoluzionò la società basata sui privilegi di casta.

Esso appariva come l'attuazione sul piano giuridico della naturale eguaglianza di tutti gli uomini proclamata  dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati americani del 1776 e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino dei rivoluzionari francesi (1789)

• La Costituzione italiana si  occupa di questo argomento nell'art.3, che così recita:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

 

Questo articolo rappresenta uno dei cardini dell’intera Costituzione. La pari dignità sociale di tutti i cittadini viene affermata non tramite l’astrattezza della norma giuridica, ma additando concretamente alcuni ambiti (sesso, religione, opinioni politiche ecc.), in cui le discriminazioni risultano più diffuse e comuni. Il principio di uguaglianza formale rispetto all’ordinamento giuridico impone a tutti i cittadini di osservare la legge: non può esistere, dunque, alcun tipo di privilegio che consenta a singoli o a gruppi di porsi al di sopra della legge.

 Il secondo comma trae ispirazione da un dato oggettivo: la disparità di condizioni economiche e sociali determina diseguaglianze di fatto. Perciò la Repubblica è chiamata a svolgere un ruolo politicamente attivo per promuovere un’uguaglianza sostanziale, creando le condizioni necessarie per consentire a tutti di sviluppare la propria personalità e di realizzare le proprie aspirazioni.  Ne deriva che il diritto alla salute (art. 32), al lavoro (artt. 4 e 38), all’istruzione (art. 34) deve essere garantito a tutti, tramite idonei interventi dello Stato, volti ad offrire pari opportunità anche ai soggetti più deboli. L’esplicito riferimento ai “lavoratori”, nella parte conclusiva dell’articolo, va interpretato in senso estensivo, alla luce di quanto viene detto nel successivo art. 4, intendendo cioè per “lavoratore” ogni cittadino che svolga o abbia svolto “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.

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